Diritto di difesa e riservatezza
La tutela della riservatezza non può implicare la compressione del diritto di difesa: sulla prevalenza delle norme processuali rispetto alla disciplina di cui al codice della privacy.
Il Tribunale Civile di Roma, Sezione XVII, aderendo integralmente alle tesi difensive proposte dallo Studio Legale Filippi and Partners, ha rigettato una domanda di risarcimento danni per lesione del diritto alla riservatezza mediante violazione della privacy con conseguente verificazione di un danno morale e un danno esistenziale alla parte lesa.
La condotta contestata consisteva nell’allegazione in un giudizio di divorzio di foto per dimostrare l’alto tenore di vita dell’ex coniuge, di una lettera indirizzata dalla figlia al padre dal contenuto diffamatorio, di foro e posta personale sottratta dal computer dell’ex coniuge, nonché in un pedinamento effettuato nei confronti della parte lesa.
Il tribunale monocratico ha rigettato tali pretese risarcitorie, allineandosi ad una autorevole giurisprudenza di legittimità la quale aveva precedentemente stabilito che “la produzione di documenti contenenti dati personali è sempre consentita ove necessaria per esercitare il proprio diritto di difesa, anche in assenza del consenso del titolare e quali che siano le modalità con cui è stata acquisita la loro conoscenza” (ex plurimis, Cassaz., Sent. n. 3358/2009). Tale soluzione è stata avallata anche dalle Sezioni Unite Civili con Sentenza n. 3034/2011: “in tema di protezione dei dati personali non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante svolgimento di attività processuale giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale ai sensi degli artt. 7, 24, 46 e 47 del D.lgs. n. 193/2006, quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo; in esso infatti la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte diverse esigenze, rispettivamente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevare in quanto contenente disposizioni speciali, e, benché anteriore, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy”.
Conclusivamente, deve ritenersi che con riferimento al rapporto tra tutela della privacy e esercizio del diritto di difesa, sulla scorta degli orientamenti sopra esposti, il secondo debba prevalere sul primo. Tale bilanciamento tra principi ordinamentali comporta rilevanti conseguenze anche con riguardo al rapporto tra le fonti, di tal ché le disposizioni inerenti alla tutela della privacy dovranno disapplicarsi con riferimento alla produzione di dati riservati in giudizio ove gli stessi siano funzionali all’effettivo esercizio del diritto di difesa, con conseguente prevalenza delle regole processuali sulle norme di cui codice della privacy, risolvendo dunque tale antinomia in applicazione del principio di specialità.